mercoledì 7 marzo 2012

L'agio della tradizione od il fascino dell'ignoto?

Da bambino mi godevo il fascino degli inaspettati colpi di scena che trovavo in film e libri, da ragazzino mi sentivo astuto e geniale nel poterne anticipare la maggior parte; crescendo ho scoperto (con mio sommo disappunto) che l'ovvietà dell'inatteso è una scelta deliberata, operata appositamente per appagare l'ego dell'utente.

A quanto pare, oltre al piacere di sentirsi più furbi degli autori, gli utenti televisivi hanno largamente dimostrato di essere molto refrattari ai cambiamenti; non per nulla, come spietatamente illustrato nella puntata della prima serie di Futurama 1ACV12 (Attacco Alieno), l'utente medio delle serie televisive pretende che gli eventi della singola puntata abbiano poca o nessuna influenza sulla situazione generale della serie stessa.

Con un principio assai simile, credo che esistano anche lettori a cui piace di ritrovare, in quel che leggono, atmosfere già note e che riescono quindi a dar loro la confortante sensazione di sentirsi a casa. In particolare mi riferisco a ciò che viene scritto in generi letterari specifici, come il Fantastico, la Fantascienza ed in misura minore nell'Horror e nel Giallo.

Alcuni esempi?

Parlando di Horror, qual'è la pessima idea che ci si aspetta da ogni gruppo che si trovi ad aver a che fare con un mostro/maniaco omicida? Dividersi, ovviamente. Cosa succede a chi si allontana dal gruppo? La sua morte è pressochè certa. Ci sono inoltre alcuni personaggi abbastanza tipici: l'eroe tormentato, il vigliacco disposto ad ogni bassezza pur di sopravvivere (che in genere fa la fine più atroce), la bellona che grida e viene salvata, l'intellettuale che cerca di razionalizzare e magari di cercare di ragionare con il persecutore.

Nei Gialli, come James Bond insegna, le belle donne hanno molto spesso gli stessi due scopi: sedurre l'eroe con lo scopo di farlo fallire e/o farlo cadere in trappola, o affidarsi a lui per poter poi tragicamente morire per mano di uno degli sgherri del cattivo di turno.

La Fantascienza ci propone alcune inossidabili categorie di razze aliene, o creature similari. Ci sono i bruti, animati da una fortissima passione per la guerra, e spesso guidati da un qualche complesso ed inintellegibile codice d'onore; gli spirituali, che hanno ormai trasceso le umane debolezze, e vivono esistenze all'insegna dell'ascesi; gli infidi, che incapaci di rivaleggiare con i bruti per quel che riguarda le capacità belliche, operano tra complotti e tradimenti; gli innocenti, che da tempo immemore hanno abbandonato ogni aggressività e si dedicano ad una vita di pace e fratellanza.

Gli esempi di cui sopra, sono evidentemente degli esempi portati all'eccesso, per poter divenire delle provocazioni; ma sono sicuro che il senso sia chiaro e che a tutti voi siano venuti in mente decine di esempi (sia cinematografici che letterari) che possono esser fatti rientrare in quelle casistiche.

Arriviamo ora al punto dolente: il Fantastico!
Pur essendo senza alcun dubbio il mio genere preferito, è anche quello da cui più raramente mi trovo ad essere soddisfatto; forse la mia predilezione mi rende particolarmente esigente, ma è anche un fatto che il Fantastico sia un genere dove le poche opere di valore vengono sepolte sotto il cumulo dei prodotti di second'ordine.

Anche senza voler cadere nella bassezza di saghe come Twilight, e senza scomodare autori che hanno per lo meno un corretto stile di scrittura come Parker, non credo esistano generi soggetti allo stereotipo quanto il Fantasy. Lo scribacchino Fantastico, non si limita a far man bassa tra gli archetipi razziali come farebbe un suo pari nella Fantascienza, usa addirittura i medesimi nomi; in questo modo evita di dover perder tempo ed affaticare i propri neuroni con un sacco di descrizioni inutili. Perché dover spendere un mare di parole per parlare di orecchie affilate, fisici snelli e lunghi capelli sciolti quando mi basta scrivere "elfo"? Perché complicarsi la vita a parlare di carattere burbero, amore per metalli preziosi e gioielli ed indole vendicativa quando è sufficiente dire "nano"? Perché fare la fatica di creare un popolo credibile a cui far fare la parte del nemico, dandogli motivazioni, caratteristiche peculiari ed una struttura sociale sensata quando è  tanto facile scrivere "orco"? 

Certo, c'è anche qualche mente geniale che invece che Nazgul dice Ra'zac ed al posto di Uruk-Hai scrive Urgali. Dovremmo apprezzare lo sforzo di cambiare almeno i nomi, o sentirci presi in giro perché hanno cercato di rivenderci come nuovo, un piatto avanzato del giorno prima e malamente riscaldato?

Con questo non voglio certo dire che il rifarsi alla nomenclatura classica identifichi automaticamente uno scrittore scadente, anzi. C'è chi, come Andrzej Sapkowski, ha saputo reinventare completamente le caratteristiche della propria ambientazione, dandole delle caratterizzazioni estremamente forti ed originali, pur parlando di elfi e di nani.

Quello che mi chiedo, ogni qual volta mi trovo a riflettere sulle caratteristiche di un'ambientazione, è quello che il lettore si aspetti dal Fantastico: cerca la sicurezza di un mondo in cui il bene ed il male sono nettamente divisi tra rappresentanti di razze differenti, o spera di incontrare qualche cosa di nuovo e di diverso, che lo porti al di fuori dei soliti schemi?

Quali sono le vostre opinioni in merito? E, se siete appassionati di Fantasy, cosa vi piace trovare nei libri che leggete? La vostra preferenza va a chi scrive entro i canoni del cosiddetto Fantasy Classico, o siete alla costante ricerca di qualche cosa di diverso ed innovativo?

Stay Tuned

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