sabato 21 aprile 2012

Le meraviglie del Paccozzo: Il tartufo e la polvere



Un paio di giorni fa ho concluso la lettura del primo libro contenuto nel Paccozzo Commentozzo, dopo essermi ripreso dallo choc eccomi ora pronto a deliziarvi con i miei commenti riguardo a quel capolavoro che risponde al nome di "Il tartufo e la polvere".

Titolo: Il tartufo e la polvere
Autore: Stefano Quaglia
Editore: Marcos Y Marcos
Genere: Poliziesco (?)
Pagine: 173 [Formato gnomesco, carattere gigante]

La trama è estremamente semplice: un tizio arriva a Milano, se la spassa con un paio di prostitute ed un pitone e qualche ora più tardi viene trovato morto sulla scalinata del duomo con un tartufo bianco incastrato in gola. Il protagonista, l'ispettore Arnaboldi, si occuperà delle indagini lasciando Milano e recandosi ad Alba, patria del celebre tartufo bianco (di Alba appunto), per trovarsi ad aver a che fare con una serie di personaggi quanto meno bizzarri dei quali scoprirà una serie di loschi retroscena.

Fino a questo punto potreste ancora crederlo un buon libro, in fondo gli elementi per sviluppare un buon intreccio ci sarebbero tutti, ma andiamo ad analizzare un po' meglio i contenuti e la forma di questo libello.

I personaggi sono tratteggiati in modo approssimativo, caratterizzati e distinti gli uni dagli altri solamente attraverso gli stereotipi in cui vanno a ricadere, privi di una vera originalità si muovono con meccanicità come marionette di cui i fili si intravedano troppo smaccatamente.

L'uso di uno stile narrativo molto semplificato e di un registro linguistico estremamente colloquiale, rendono il testo simile a quella che potrebbe essere la narrazione orale di un comico-wannabe che voglia intrattenere alcuni amici mentre bevono una birra all'osteria sotto casa. Il flusso narrativo ricorda molto alla lontana quello sperimentato nell'Ulisse, con la differenza che nel caso di Joyce si trattava di un esperimento innovativo ed era messo in atto da uno scrittore vero.

L'effetto di realismo nudo e crudo potenzialmente raggiungibile attraverso il genere di narrazione scelta scade in una farsa, quando i personaggi compiono azioni talmente assurde da essere motivabili unicamente in un contesto molto più romanzesco e fantastico. L'ispettore che si trova con l'auto bloccata da un'altro mezzo parcheggiato in divieto ha la geniale idea di estrarre la pistola e di sparargli in modo da farne scattare l'allarme, un trafficante di tartufi falsi entra indisturbato nella cucina di un locale orientale, raggiunge la dispensa ed impugna una katana per sfondare la porta di un frigo per rubarne il contenuto ... and so on.

Cosa può esserci di peggio di avere dei personaggi inconsistenti che si muovono all'interno di un intreccio scadente? Dover affrontare una lettura tutt'altro che scorrevole per poter leggere di loro e comprendere cosa stia accadendo. A questo punto potreste obiettare, ricordandomi di aver accennato ad uno stile narrativo semplificato, ma semplificato e semplice non hanno il medesimo significato.

Per non correre il rischio di aver prodotto un libro brutto come tanti altri ne esistono l'autore ha avuto la geniale idea di renderlo orrendo, per mezzo di una narrazione ed un'impaginazione priva di ogni distinzione tra descrizioni e dialoghi, costringendo così il lettore a doversi sforzare per cercare di comprendere quale dei personaggi stia parlando, a chi si stia rivolgendo e cosa abbia detto.

Se sto leggendo un saggio, un testo impegnato, o la lista della spesa di Umberto Eco e sono costretto a rileggere un passaggio perché qualche cosa non mi è chiaro, è colpa mia e della mia incapacità di comprendere. Se sono costretto a rileggere dall'assenza dell'adeguata punteggiatura o dall'incapacità di dare una chiara distinzione dei soggetti, è colpa dell'autore.

Stay Tuned

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